18 mar 2018

Quattro blog per un autore: La chiamata di Visnu - Michela Rivetti

Ed eccoci qui con il secondo appuntamento per la rubrica di oggi.
Il genere fantasy direi che regna in questa domenica, no?
Guardate un po'..



➳ Titolo: La chiamata di Visnu
➳ Autrice: Michela Rivetti

➳ Editore: 
Bibliotheka Edizioni
➳ Genere: Fantasy
➳ Prezzo
 €3,99 ebook €9,35 cartaceo


 Amazon 
➳ Trama
Berlino, inizio del terzo millennio. La Guerra Calda è finita, gli Accordi dell’89 sono stati firmati e la città è stata divisa in sette zone, ciascuna assegnata a una delle antiche stirpi. All’interno della ringbahn vivono gli uomini, protetti dalla Divisione, incaricata di mantenere la pace e impedire sconfinamenti e scontri tra le stirpi. Misteriosi omicidi, provocati da sconosciute creature sovrannaturali, iniziano però a verificarsi in tutta la città, rischiando di frantumare il delicato equilibrio raggiunto. La Divisione incarica Ulrik Von Schreiber di indagare, aiutato dal pavido collega Fabian, ben sapendo quanto abbia a cuore il mantenimento della pace. Ma Ulrik non è soltanto un cacciatore, incarna lo Spirito Protettore della Città, l’Orso di Berlino, che non attende altro che liberare la propria furia.


“E ADESSO SCRITTORE… CONTINUA TU!”
Conosciamo l’autrice attraverso la sua scrittura.
L’autrice potrà scegliere tra:


A) DARE SFOGO ALLA SUA SCRITTURA CREATIVA SCEGLIENDO UNO DEI TRE QUESITI PROPOSTI 

B) DARE ORIGINE A UN RACCONTO BREVE SCEGLIENDO TRA TRE INCIPIT


A)



3) Apri il dizionario in una pagina a caso e punta il dito su una parola. Fai questa operazione per dieci volte e appunta le parole che ottieni. Scrivi una breve storia che contenga tutte queste parole (N.B. Non barare!).

Parole trovate:
Pagliericcio, crociere (uccello passeriforme), piano, caliptra (velo usato dalle donne dell’antica grecia), maunque (giammai), grotta, sbraire, appressamento, vampa, dolce.



“Dove stiamo andando?”
Chiese la bambina, ormai stanca di portare i piedi uno davanti all’altro, senza sosta da ore. Era abituata a camminare e di solito non si lamentava mai, però ormai erano in cammino da tre giorni, si fermavano solo per mangiare e dormire, l’asinello che li seguiva era carico di bisacce e non poteva essere cavalcato, mentre lei sentiva i piedi doloranti e pieni di vesciche.
Non ne poteva più!
Sì, era stato suo padre a dirle di seguire Hermanno che l’avrebbe portata a fare un bel viaggio e che lui li avrebbe presto raggiunti, ma non sembrava affatto così. Finora avevano vagato per boschi, evitando il più possibile i campi aperti e lei aveva la netta impressione che l’amico del genitore non avesse davvero idea di dove andare.
“Resisti ancora un poco, Herminia.” la esortò lui, voltandosi per sorriderle “Devo solo trovare un posto per la notte.”
“Ieri abbiamo dormito nelle amache, non possiamo farlo anche oggi? Io mi diverto.”
“Non ne dubito, ma preferisco altre soluzioni. Qui vicino ci sono delle colline rocciose, forse troviamo una grotta dove ripararci. Vedi le nuvole? Minacciano pioggia. Io preferirei stare all’asciutto e tu?”
La piccola ammise che l’uomo aveva ragione e continuò a camminare, pur controvoglia.
Gli alberi crescevano piuttosto fitti e le chiome intrecciate lasciavano trapelare solo raggi di Sole ormai tenui. Gli occhi dei due viaggiatori avevano dovuto abituarsi alla penombra e spesso erano fissi sul terreno per accertarsi che nulla si nascondesse in mezzo a quell’erba alta fino al ginocchio dell’uomo.
In quei lunghi giorni di viaggio avevano avuto la compagnia solo degli animaletti che popolavano il bosco: erano rallegrati dal cinguettio di qualche crociere, oppure Herminia si distraeva, seguendo con lo sguardo il rincorrersi degli scoiattoli tra i rami.
Una brezza di vento portò il buon umore all’uomo che annunciò alla bambina che ormai erano arrivati e con la mano la spronò a non fermarsi. L’aria attorno a loro si fece più luminosa, sebbene la luce fosse quella rossiccia del tramonto. La vegetazione si fece più rada fino ad interrompersi bruscamente a una manciata di metri da una parete di pietra.
“Visto? Proprio come avevo detto.” si compiacque Hermanno, sperando che ciò servisse a rincuorare la bambina a cui poi domandò: “Mi aiuti a cercare una grotta? Facciamo una gara a chi la trova per primo?”
Herminia annuì felice e cominciò subito a scrutare la collina, in ogni direzione.
Camminarono rasenti alla parete per diversi minuti prima di imbattersi in una spaccatura. L’imboccatura era bassa e stretta per una persona adulta ma immetteva in un antro ampio a sufficienza per accogliere cinque o sei persone sdraiate, senza che sbattessero la testa se decidevano di stare in piedi.
“Bene, io accendo il fuoco con la legna avanzata, tu vanne a cercare dell’altra.” ordinò Hermanno, iniziando a liberare l’asino da alcuni pesi “Non allontanarti troppo, mi raccomando. Ogni due minuti fa un fischio, se senti il mio di risposta, bene, altrimenti significa che devi tornare più vicina.”
“Sì, lo so.” sbuffò la bambina “Me l’hai già detto.”
“Cosa devi fare se sei in pericolo?” la mise alla prova lui.
“Sbraire, così corri subito.”
“Brava. Va e torna presto!”
Herminia tornò tra gli alberi a cercare bastoni secchi e rami spezzati. Pareva non sentire più male ai piedi: avere una responsabilità la rendeva felice e ignorava tutto il resto. Avrebbe tanto voluto avere braccia più lunghe, in modo da poter raccoglier più legna in una sola volta e non essere costretta a fare avanti e indietro innumerevoli volte, ma non se ne lamentava.
Più tardi, mangiando un po’ di pane ormai duro e carne secca, accompagnati da qualche frutto che Hermanno aveva raccolto durante la giornata, la bambina dovette ammettere che dormire in un luogo riparato, riscaldati dal fuoco, era un’ottima idea.
Sentiva la vampa della fiamma davanti a lei che la riscaldava piacevolmente: non era una stagione fredda, ma quel tepore era ugualmente un toccasana, dopo la lunga marcia.
“Scusa se sono stata brusca con te.” mormorò Herminia, dopo cena, tenendo gli occhi bassi per la vergogna.
“Ma cosa ti salta in mente?” domandò l’uomo, un poco divertito “Non c’è motivo per cui tu ti debba scusare.”
“Sono stata nervosa, ho dubitato di te e ti ho anche risposto male.” gli fece notare la bambina, sorpresa da quella reazione.
“Non ci pensare. Vieni qui.”
Herminia girò attorno al falò e si sedette accanto all’uomo che l’abbracciò e la rassicurò: “Sei stanca, affaticata e preoccupata per tuo padre. È naturale che tu non sia gentile e dolce come al villaggio e non mi offendo.”
La piccola si strinse maggiormente a lui. Tacque per lungo tempo, ripensò alla casa che aveva lasciato in fretta e furia. Nessuno le aveva voluto dire perché, nessuno le aveva voluto spiegare che cosa stesse accadendo. Un viaggio, le avevano detto ma lei sapeva che era una bugia. Aveva visto alcune famiglie radunare alla svelta le proprie cose e lasciare il villaggio a piedi o su carretti. Si era accorta di come il clima, nelle ultime settimane, si era fatto sempre meno sereno e più teso.
Pensavano di ingannarla solo perché aveva dieci anni? Che assurdità!
Potevano tacerle la verità ma non credere che lei non si fosse resa conto che qualche sventura li aveva minacciati.
Non sapeva che cosa avesse spaventato così tanto il suo villaggio, non era riuscita ad origliare le ultime assemblee. Probabilmente era qualcosa legato al fatto che sempre più spesso uomini e donne che partivano per misteriose missioni, ritornavano feriti o non tornavano affatto.
Si sarebbe combattuto al villaggio? Suo padre era rimasto per lottare e l’aveva allontanata?
Era ciò che la ragione le suggeriva ma a cui lei non voleva credere.
Delle lacrime sgorgarono dalle palpebre chiuse e con un filo di voce domandò: “Papà e Rask stanno bene?”
“Certo, perché non dovrebbero?” rispose Hermanno, passandosi una mano sull’oblunga testa pelata, poi sospirò e tra sé e sé pensò: Lo vorrei tanto.
L’uomo cercò poi di distrarre la bambina e le chiese se avesse vesciche nuove. Lei non se lo fece ripetere: sfilò le scarpe di cuoio e indicò le bolle d’acqua.
Hermanno prese un ago e lo passò qualche istante sulle fiamme per sterilizzarlo, poi vi inserì un filo. Si accinse infine a bucare le vesciche, lasciando al loro interno la cordicella, sporgente, in modo che tutta l’acqua fosse drenata.
Invitò poi la piccola a coricarsi: anche il giorno dopo avrebbero marciato e le sarebbe convenuto riposare!
Lui sarebbe rimasto a vegliare per un po’. Non era contento di passare, ogni notte, diverse ore a dormire, senza nessuno che controllasse che non sorgessero pericoli ma, d’altra parte, non voleva neppure far fare la guardia alla bambina.
Herminia non se lo fece ripetere e si sistemò sul pagliericcio, coperto da un telo, che si erano portati dietro, stando sempre ben attenti che l’asinello non finisse col mangiare quel giaciglio.
Prese dalla propria bisaccia un velo azzurro, lo avvolse attorno alla mano e l’avambraccio destro e si addormentò tenendolo vicino al volto: era la caliptra di sua madre, morta già da diversi anni, era l’unico ricordo di lei che era riuscita a portare via dal villaggio. Un dolce ricordo.
Il padre, invece, le aveva dato il proprio cappotto, chiedendole di custodirlo finché lui non fosse tornato a riprenderlo.
Un’altra bugia dettale per confortarla.
Passò la notte. Poiché pioveva, rimasero nella grotta tutto il giorno. Uscì solo Hermanno, nel pomeriggio, quando il Sole era tornato a splendere, per cacciare con la balestra e procurare della carne fresca per avere un pasto migliore per la cena.
Il mattino seguente il tempo era migliore e si rimisero in cammino, decidendo di continuare a costeggiare le colline rocciose.
Dopo alcune ore di marcia, giunsero in vista di una strada: larga e ben battuta, nonostante non fosse lastricata. Era alla destra della cresta di pietra.
Herminia si meravigliò non appena la scorse, corse verso di essa per guardarla meglio, nonostante i richiami dell’uomo.
“Non sapevo ci fossero strade come questa, fuori dal villaggio!” esclamò la bambina, girando su se stessa per non perdere nessun dettaglio “È grande almeno il doppio della nostra principale, vero?”
“Sì, sì.” concordò Hermanno, distrattamente.
Anche lui si guardava attorno, ma non era la curiosità a guidarlo, bensì il timore. Sembra tutto deserto, quindi l’uomo  tirò un sospiro di sollievo.
“Dai, torniamo nel bosco.” ordinò, secco, Hermanno.
“No, camminiamo qui: è molto più comodo e non rischiamo di prendere le zecche! Ieri me ne hai dovute togliere quattro, nonostante porti pantaloni lunghi!”
L’uomo ragionò, si grattò la testa e infine acconsentì a percorrere un tratto del tragitto su quella strada, almeno finché non avrebbero incontrato una locanda dove comprare acqua potabile: le loro scorte non erano abbondanti.
Il suo piano era quello di lasciar entrare la bambina a concludere l’acquisto, mentre lui se ne sarebbe rimasto in attesa, poco lontano: era sicuro che nel locale fosse appeso un manifesto con il suo volto e una grossa taglia, quindi preferiva non farsi vedere.
Certo, una bambina da sola avrebbe potuto suscitare qualche perplessità, ma i locandieri non facevano troppe domande, se vedevano il denaro.
Per sicurezza, però, Hermanno alzò il cappuccio del mantello che lo copriva, sperando lo aiutasse a passare inosservato e non che lo facesse notare maggiormente.
Un grosso sasso posizionato a lato della strada avvisava i viaggiatori che la prossima locanda era ormai vicina.
Poco più avanti, Hermanno scorse due sagome in lontananza. Sembravano uomini a cavallo su destrieri molto più grossi del normale. Ebbe un sospetto e avrebbe tanto voluto lasciare la strada e nascondersi nel bosco ma ciò sarebbe risultato sospetto: se quegli uomini erano soldati, allora sicuramente si erano già accorti di loro e, vedendo la deviazione, avrebbero fatto alzare in volo i loro drachi per inseguirli.
Sì, scappare li avrebbe messi nei guai. Avrebbero dovuto continuare dritto per la strada. Calò ancor di più il cappuccio sulla propria testa.
Non disse nulla alla piccola: l’informarla del pericolo l’avrebbe potuta innervosire, facendole fare qualcosa che avrebbe attirato l’attenzione delle guardie.
L’appressamento tra le due coppie di viaggiatori era molto rapido.
Herminia si meravigliò nel vedere due uomini cavalcare dei lucertoloni giganti con ali piumate: che animali strani! La intimorivano, eppure non riusciva a staccare lo sguardo da loro.
I soldati stavano parlando ad alta voce tra di loro. Sembravano ubriachi e infatti ondeggiavano un poco sulle selle.
“Ehi voi, chi siete?” domandò un militare, vedendo i due viandanti con l’asino.
“Oh, nessuno.” si affrettò a rispondere Hermanno, guardando a terra e tenendo d’occhio le ombre degli interlocutori “Non siamo uomini delle polis, ma nemmeno banditi, viaggiamo alla ricerca di …”
“Taci!” lo interruppe il soldato, scendendo dal draco “Questa regione è infestata da sofisti. Mostrami il tuo volto.”
L’uomo trattenne un’imprecazione, con la sinistra si tolse il cappuccio, mentre tenne la destra pronta a sfoderare la spada.
Il soldato si avvicinò di qualche passo e poi trasalì: “È lui! È lui l’autore dell’eccidio di Aleajakt.”
“Arrenditi!” intimò il secondo.
“Maunque!” esclamò Hermanno, sguainando la lama.
Ormai era un decennio che aveva imparato a maneggiare le armi, aveva acquisito tecnica e agilità. Sfoderare l’arma e conficcarla nella gola dell’uomo davanti a lui fu l’affare di pochi istanti.
Il secondo soldato, furioso, spronò il draco contro il ricercato: le zampe del lucertolone lo atterrarono senza fatica.
Nel cadere, Hermanno perse la spada. Schiacciato a terra dall’animale, urlò alla bambina di fuggire.
Il soldato smontò, determinato a finirlo.
Herminia era rimasta impietrita. Vedere l’amico del padre squarciare la gola di un uomo l’aveva paralizzata. Non immaginava che il suo animo fosse tale da permettergli di uccidere a sangue freddo.
L’esortazione alla fuga non fu che una vaga eco nella sua testa.
Vedeva solo Hermanno, l’unico amico che le era rimasto, bloccato a terra dal draco e che cercava inutilmente di divincolarsi.
La sagoma del soldato che stava per abbattere la propria lancia sull’uomo fece scattare qualcosa nella bambina.
Herminia non si accorse di ciò che fece, il suo corpo si mosse d’istinto. Si chinò a raccogliere la spada e l’agitò davanti a sé all’altezza dei polpacci indifesi del guerriero.
Il militare urlò per il dolore e cadde sulle ginocchia. Si voltò, poi, fissando la piccola con sguardo omicida.
La bambina si rese conto in quel momento di ciò che aveva fatto. Il cuoricino cominciò a battere all’improvviso, deglutì ed indietreggio, senza mollare la spada.
Hermanno riuscì a rotolare su se stesso e liberarsi dalla presa del draco. Preoccupato, non esitò a colpire con un calcio la schiena del saldato che perse l’equilibrio in avanti. Il ricercato ne approfittò per calcarlo a terra, poi gli afferrò l’elmo e lo tirò all’indietro finché la cinghia di cuoio che lo teneva legato sotto il mento non lo strinse attorno al collo.
Hermanno continuò a tirare. Il soldato era senza aria, si agitò cercando di sfuggire, inutile.
Il corpo smise di contorcersi. L’uomo continuò a tirare l’elmo per alcuni minuti: voleva essere certo che fosse morto.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto vedere questo.” disse Hermanno alla bambina che lo guardava intimorita e confusa “Purtroppo dovrai farci l’abitudine. Fuori dal villaggio, le cose vanno così.”





Le altre giornate riguardanti questo libro:

1° giornata: In compagnia di una penna - La copertina del libro
2° giornata: Leggendo insieme - La vita divertente di un autore
3° giornata: Gli occhi del lupo - Autore vs Personaggio

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